di Max Stefani ( max@outsiderock.com )
“In sostanza: in Italia una recensione è "bella" se conferma quello che io già pensavo. E’ "brutta" se va contro a quello che io penso. Qual è il ruolo del recensore oggi? Nessuno. perché si scrivono comunque? Sarcazzo”. (Paolo Vites)
Le "mutate condizioni di mercato" hanno indotto la FIMI ad abbassare ulteriormente, a partire dal 1° gennaio 2014, le soglie previste per l'assegnazione alle case discografiche e agli artisti dei riconoscimenti ufficiali legati ai risultati di vendita.
Pertanto, album e compilation diventeranno d'oro oltre le 25 mila copie vendute (contro le 30 mila di prima), di platino oltre le 50 mila copie (contro 60 mila) e diamante oltre 500 mila (contro 600 mila).
Fino al dicembre del 2004 i dischi d'oro e di platino (album) venivano assegnati (su autocertificazione delle case discografiche - ?!?) rispettivamente al superamento di 50 e 100 mila copie vendute. Come vedete di questo passo basterà stampare 500 copie per arrivare facilmente al 1° posto delle charts. Questo tipo di premi fu inventato nel 1958 in America dalla Recording Industry Association of America (RIAA) e il primo disco d’oro (500mila copie) fu Catch A Falling Star di Perry Como. Il disco di platino fu inventato nel 1976 (un milione di copie). Il primo fu Their Greatest Hits degli Eagles.
Sono da qualcuno stato rimbrottato per il fatto che “Outsider” non abbia stilato le classifiche di fine anno. Sì, quelle liste più o meno lunghe che grazie a FB hanno proliferato in maniera abnorme. In Italia e all’estero. Giornali, blog, siti, persone fisiche, negozi, tutti a rincorrersi l’un l’altro… Quelle liste che con i miei giornali - fossero Suono (dal 1971 al 1978) e Mucchio (dal 1977 al 2011) - ho sempre fatto. Addirittura con il Mucchio m’inventai un “Annuario” che è uscito per quattro numeri, dove mischiavo rock, libri e cinema senza alcun ritegno. Ma era una scelta “commerciale”, alla quale già allora facevo molta fatica a partecipare.
Mi veniva più comodo darla in pasto ai miei arrapati collaboratori di allora.
Ora: la classifica di fine anno può essere un dovere per le testate musicali, e un diritto inalienabile di chiunque ascolti/scriva di musica, ma sinceramente credo che una rivista di “approfondimenti” come “Outsider” ne possa fare a meno. Vista la politica di questo giornale e il poco spazio che diamo alle recensioni di dischi nuovi, non ce n’è bisogno. I migliori dischi sono quelli di cui parliamo, spalmati fino a marzo-aprile dell’anno successivo, tenendo conto che ci siamo presi la grande libertà di parlare dei dischi anche 5-6 mesi dopo la loro uscita.
Alteriamo così il trend generale dei nostri colleghi di stampa, che consiste nel recensire più dischi possibile, prima - o in contemporanea - di tutti gli altri. Comunque il mio lavoro mi obbliga a tenermi informato: ma ad un certo punto, dopo averne lette a centinaia, sono entrato in corto circuito.
Detto che nove dei dieci dischi più venduti in Italia nel 2013 sono italiani (tutti orrendi) e che per trovarne uno decente bisogna arrivare ai Pearl Jam, n.31, con 37mila copie vendute (i tanto osannati Arctic Monkey’s sono appena a 10mila!?!), per quello che mi riguarda è un'ulteriore prova che l'Italia sia rimasta chiusa in una bolla culturale autarchica e fuori dai linguaggi del resto del mondo (pop o indie è lo stesso). Le cause: la vecchiaia della popolazione e internet, che unendo chi parla l'inglese esclude chi non lo capisce condannandolo all'immobilità, al provincialismo e al perenne “revival” di qualcosa.
Il grande mistero del 2013 restano i votatissimi Vampire Weekend. Non perché Modern Vampires of the City non sia carino… Ma perché vederlo in cima a così tante classifiche…! Sorvolo sulla recente cover di Bocelli, ma se i primi due album erano in qualche modo attraenti, questo stufa presto.
Ma ci sono comunque dei dischi usciti nel 2013 che mi hanno se non altro incuriosito. Penso a King Rule, Juana Molino, Black Joe Lewis, Bassekou, Sam Amidon, Excitements, Mazes, Jason Isbell, Reckless Kelly… Come alcune sorprese, o conferme che siano, come Bowie, Linda e Richard Thompson, Torrini, Govn. Mule, Callahan, Costello, Mavis Staples… Perfino alcuni dischi italiani, come Diaframma, Teardo, Santo Niente.
Però, come ha scritto un mio vecchio amico, Zambellini, “si può dire e scrivere ciò che si vuole, si può tirare in ballo l'età, le emozioni legate agli anni giovanili, le aspettative, gli amori, il fatto che nel rock n'roll è già stato fatto tutto, la tecnologia e tutto quanto volete, ma è incontrovertibile che nei dischi del passato c'era più creatività, ispirazione, spontaneità, genio”.
Detto questo, ognuno è libero di pensarla come vuole e di trarre le proprie conseguenze, la mia è che si vendono meno dischi perché sono meno belli. Andate a vederle la lista dei migliori del 1974 a pag. 127 e fate un confronto.
Nelle due pagine seguenti della “posta”, si parla spesso di “Mucchio”. Succede tutti i mesi. Non so se dolermi o meno di tutto ciò. Sto cercando disperatamente di buttarmi alle spalle il passato, anche con una certa fatica (perché vederlo ancora in edicola così sena senso, un po’ mi fa male), ma mi rendo conto che non si possano cancellare 34 anni di direzione. Vale per me e per chi mi segue. Nelle mie intenzioni c’era il fatto che su queste pagine non si dovesse mai parlare del Mucchio, ma me ne devo fare una ragione.
Qualche giorno fa sono capitato per sbaglio sul FB di un saltuario collaboratore di Outsider e non ho resistito dal dire la mia su certi periodi. In uno di questi affermavo che il momento migliore del “Mucchio” è stato dal 1988 al 1996, ovvero dal “dopo “Velvet”” alla nascita del settimanale. Gli anni dove in redazione eravamo io, Biamonte, Tettamanti, Zambellini, Ronzani, Mongardini…
Non l’avessi mai fatto! Mi è stato subito rinfacciato che di queste cose non ne capivo niente, che “Velvet” era la migliore rivista mai fatta in Italia (?!?) e che i collaboratori arrivati all’inizio del 2000 erano il miglior gruppo di giornalisti mai esistiti sulla Terra etc etc.
Strano farsi spiegare la propria vita da persone che non l’hanno vissuta (se non esteriormente o per sentito dire).
Pr non parlare di quel matto che ha voluto scrivere “la vera storia del Mucchio”, in contrapposizione alla mia! Da ricovero poveraccio.
Quelli che però più mi commuovono, sono coloro che affermano di continuare a comprare il “Mucchio” solo per affetto o per collezione.
Basta che comprino anche questo giornale!
Buona lettura
Max Stèfani
Ps – Questo numero è dedicato a Daniele Ghisoni. Ha collaborato con me al “Mucchio” per poco tempo, dal 1977 al 1980. Perché, se non ricordo male, al momento della scissione con Carù rimase legato al giornale del negozio, “Buscadero”. Ci eravamo sentiti da poco, perchè voleva farmi i complimenti per “Outsider”. E’ morto per un infarto il giorno di Natale. Abitava a Crema, era in pensione da qualche anno, scriveva per “Late for the Sky” e faceva volontariato per la Caritas. Una brava persona. R.I.P.