di Max Stefani ( max@outsiderock.com )
“Nous ne voyons jamais les choses telles qu’elles sont, nous les voyons telles que nous sommes“. (Anaïs Nin)
Un anno di vita. In qualche modo bisogna festeggiarlo ma credo che l’unico modo possibile sia quello d’impegnarsi per rendere questo giornale sempre più bello e interessante. Un anno può essere tanto o poco. Sicuramente ‘poco’ se lo paragono ai miei 34 anni di Mucchio (ottobre 1977 - aprile 2011) ai quasi dieci di Suono (1971-1980) o alla mia esperienza, come editore, di Rumore, Chitarre, Duel/Duellanti o del sito Rockol. Ma ‘tanto’ perché è stato un anno importante. Non è stato facile ricominciare da zero. Buttarsi tutto alle spalle, delusioni e tradimenti – nonché ammettere che si è stati dei fessi – e trovare la forza di rimettersi in gioco, a un’età in cui di solito ti tira i remi in barca, di rischiare ancora una volta in un progetto folle, vista la situazione economica in cui viviamo oggi nel nostro paese.
Nei primi 3 mesi del 2014, in Italia hanno chiuso 54 aziende al giorno. Otto famiglie su dieci vivono “una sensazione di precarietà e instabilità»”. Stiamo continuando a perdere produttività, a marzo l’indice dei consumi di Confcommercio è ancora sceso rispetto a febbraio del 2.1%, rispetto a un già disastroso 2013. Nel mondo musicale hanno chiuso giornali importanti come XL e Jam e – dopo settant’anni e 783 numeri – anche la storica testata musicale Musica e Dischi, mentre Rolling Stone è ufficialmente fermo ai box in seguito al passaggio editoriale del marchio (ma simili soste sono sempre un po’ sospette...). Ma la chiusura è dietro l’angolo per tutti. Compresi noi. Di questi tempi basta un soffio di vento. Avevamo preventivato 3000 abbonamenti per coprire un anno di spese. 180mila euro. Siamo ancora a 500 (+ 200 in pdf) e le vendite dei negozi non riescono a coprire il mancante. Il sogno di fare come “Altro Consumo”, tot copie stampate=tot copie vendute solo per abbonamento, resta una chimera.
Questo ci ha costretto controvoglia a una ‘presenza’ sul mercato più penetrante. Siamo partiti solo con gli aeroporti, le città di Milano e Roma e una quarantina di ‘Outsider Point’ sparsi per l’Italia che aveva un senso. Da aprile siamo quasi stati costretti a raddoppiare, uscendo a macchia di leopardo nel mercato nazionale delle edicole. Cosa che non era nei nostri piani. Tornare a buttare il 50% (quando va bene) delle copie al macero (perché questi sono le percentuali per chi va in edicola) è deprimente. Per certi versi una sconfitta. Per noi e per voi. C’è questo senso di disillusione generalizzato che sta pure uccidendo la speranza... L’idea è comunque di raddoppiare ancora a settembre. Se questo non è giocare d’azzardo! Tornando al giornale, anzi ai ‘giornali’, la grande sfida per gli ultimi superstiti sta tutta quì: riuscire nell’impresa d’inventarsi un nuovo senso. Dare al proprio prodotto un valore che ne renda necessario l’acquisto non solo agli appassionati di lungo corso, ma anche a potenziali nuovi lettori. Per noi questo valore consiste nel ripercorrere la storia della nostra musica traducendo quasi tutto dalla stampa estera (anche se questo mese io e Trombetti ci siamo un po’ divertiti sui LZ) con un attento e molto selettivo sguardo sulle novità.
Non è questione di essere migliori di Internet o dei social network: sfidarli sul loro terreno vuol dire perdere in partenza, per un lunga serie di ragioni. Bisogna riuscire a dare al pubblico qualcosa che non c’è su Internet o nei social network (o almeno in un modo che non c’è su Internet o nei social network: esempio, applicando un rigorosissimo filtro contro l’abbondanza dei contenuti). Puntare tutto sulla qualità. Dei testi, delle grafica, delle foto, della carta, della stampa, rivolgendosi chiaramente a un target alto. Sia di età che di portafoglio. Tornando al mio passato, molti che hanno letto e lasciato il Mucchio, hanno trovato un nuovo posto dove la musica è ancora una ragione di vita. Dove si scelgono gli artisti da trattare solo in base alla loro qualità, fregandosene della loro commerciabilità. Il fatto di non correre dietro alle nuove recensioni, di non avere concorrenti, ci permette di avere le mani libere. E soprattutto non abbiamo l’obbligo di dover accontentare quell’inserzionista o quell’altro. In un anno ci sono stati anche aggiustamenti in corsa. Il più importante forse è la riduzione dei collaboratori italiani (duole ammetterlo, ma spesso sono solo fonte di problemi a causa di eccesso di ego), un progressivo disinteresse verso il rock italiano, ‘indie’ o meno che sia (dispiace per molti bravi musicisti, ma credo che questa scelta non vanifichi in alcun modo la loro carriera. Giornali, blog e siti dilagano, anche se a volte mi sembra parlino di una cosa che non esiste) e un non previsto aumento delle pagine dedicate alle recensioni. Avevamo scritto ‘mai più di 6’ e adesso a volte arriviamo anche a 14. In questo caso abbiamo ascoltato i vostri suggerimenti. In più c’è la collaborazione maturata, con soddisfazione reciproca, con Giancarlo Trombetti. Vero che aveva collaborato al Mucchio all’inizio degli anni ottanta, ma il tempo ci aveva un po’ allontanato. È il primo simile dotato d’ironia (con Dan Marcoccia) che incontro nell’ambiente musicale, e siamo entrambi stati fottuti alla grande sul lavoro. Come fondamentale è stato, ed è, il lavoro alla grafica di Giulia Tessari. Chapeau. Naturalmente ‘Outsider’ non sarebbe stato possibile senza l’intervento di Roberto Gallo. Vecchio lettore del Mucchio, appassionato di musica rock, ha creduto da subito in questo giornale mettendoci dentro risorse per me impossibili. L’unica ‘divagazione’ possibile ce la siamo presa nella scelta del nome della società che edita Outsider: Revenge.
Ambedue abbiamo dei conti in sospeso, anche se siamo convinti che sia fondamentale guardare sempre avanti lasciando perdere il passato. Altrimenti non si vive bene.
Led Zeppelin come cover-story. La reissue dei primi tre dischi della band inglese curata da Jimmy Page, non poteva passare inosservata, anche se non è poi tutto sto granchè. Ma ci ha dato modo di esplorare il pianeta Zeppelin. Molti rimarranno stupiti dal fatto che l’unico che credeva veramente nel progetto LZ era Peter Grant e in minima parte Page e che, senza Ahmnet Ertegun, Jerry Wexler e Steve Weiss, la storia avrebbe avuto un altro corso. I ragazzi prima del primo tour americano, nel passaggio New Yardbirds/Led Zeppelin, stavano quasi per accettare il ruolo di ‘backing band’ dietro P.J. Proby (?!?) per avere uno stipendio assicurato. Come si noterà l’approssimazione delle recensioni di “2001”. Da lì nasceva la nostra voglia di leggere cose americane e francesi. Faremo la stessa cosa nei prossimi mesi per Allman Brothers (6 CD del Fillmore 1971, in uscita il 29 luglio) e Springsteen
(reissue di The River - in autunno?). Come contorno a Page/Plant/Bonham/Paul Jones/Grant, c’è un pezzo sui primi 5 dischi dei Roxy Music e la ‘wild song’ del mese, che per restare in tema ‘blues’ è Stormy Monday di T-Bone Walker/Allman Brothers. Per il presente ci soffermiamo su Alynda Lee Segarra, il faro ventisettenne della band di New Orleans Hurray For The Riff Raff. Di tanto in tanto una nuova voce ci ricorda quanto sia importante fare della musica che pensi possa avere anche un impatto positivo sul nostro mondo di vivere. Segarra s’ispira a Leadbelly, Billie Holiday, Woody Guthrie ma anche alle Bikini Kill. La sua generazione ha davvero bisogno di musica che parli della disillusione e della paura che sta provando. Scivola di un mese la seconda parte dell’intervista a Tom Dowd. Colpa degli Zeppelin. Gli altri nomi sono Chris Robinson, Jesse Winchester, Joni Mitchell, Eels, Neil Young, Mogwai, The The, Dionne Warwick, Songs-Ohia, Alpaca Sports, Angela Olsen, Therapy, Linda Ronstadt, Emmylou Harris, Gregg Allman, Nils Lofgren... Ce n’è veramente per tutti i gusti. Buona lettura e come diceva la mai troppo compianta Seppia sul Mucchio… “una leccatina” affettuosa.
Max Stèfani
PS – Un necessario mea culpa. Lo scorso numero ho fatto diventare (per ben due volte!) Johnny Winter mancino. :-(